Ecco uno scenario che era improbabile solo due anni fa: il telelavoro permanente da Honolulu al proprio ufficio a Wall Street. Oggi il mondo ha accettato che la produttività sia altrettanto fattibile dalla spiaggia quanto da un grattacielo. Infatti, secondo Upwork, quasi 5 milioni di persone negli Stati Uniti si sono trasferite grazie al lavoro a distanza dal 2020 e altri 19 milioni hanno in programma di farlo.
Prima della pandemia, era relativamente semplice creare politiche di accesso, poiché le sedi degli utenti erano solitamente fisse. Ad esempio, supponiamo che tutti debbano lavorare dall’ufficio di New York e che arrivi una richiesta di connessione da un bar delle Hawaii. La decisione è facile: basta negare l’accesso.
Tuttavia, con il lavoro remoto e ibrido che sta diventando standard, i vostri utenti potrebbero trovarsi ovunque e una politica di questo tipo ostacolerebbe la produttività. La domanda che sorge spontanea è: dato che i perimetri dell’ufficio non sono più significativi, come si fa a proteggere i dati e a supportare i dipendenti che lavorano da qualsiasi luogo?
Di recente ho invitato Ashish Kathapurkar e Nikhil Sinha di Google al nostro Security Soapbox Podcast per discutere di come questo ambiente di lavoro decentralizzato stia facendo ripensare ai team di sicurezza il modo in cui proteggono le loro organizzazioni. Per darvi un’anteprima, ecco un paio di spunti dalla nostra conversazione.
Zero Trust: di chi o cosa ci fidiamo?
Molte organizzazioni si rendono conto che la sicurezza deve adeguarsi per supportare le iniziative di lavoro da qualsiasi luogo. La domanda allora diventa: come?
È facile aderire a un framework popolare come Zero Trust, ovvero che a nessuna entità dovrebbe essere concesso l’accesso finché il suo livello di rischio non viene verificato e accettato, ma non esiste una roadmap chiara su come raggiungerlo.
Il National Institute of Standards and Technology (NIST) definisce il modello Zero Trust come l’insieme di paradigmi in evoluzione che permettono alla cybersecurity di passare da parametri statici, basati sulla rete, a un approccio incentrato su utenti, asset e risorse.
Ciò significa che, per valutare correttamente il rischio, è necessario tenere traccia non solo dell’utente e dei suoi endpoint, ma anche della posizione e delle reti utilizzate, nonché dei dati e delle applicazioni a cui cerca di accedere.
La sicurezza deve essere un lavoro di squadra: il modello della responsabilità condivisa
In un ambiente remoto o ibrido, è quasi impossibile prevedere quale incidente di sicurezza sia dietro l’angolo. Zero Trust offre una soluzione efficace per risolvere questo dilemma, partendo dal presupposto che nessuna entità è affidabile in partenza.
Per implementare pienamente questo framework, Ashish e Nikhil concordano sulla necessità di guardare oltre l’ID e le credenziali dell’utente per analizzare un’ampia gamma di dati contestuali. Per raccogliere la grande quantità di dati telemetrici necessari per condurre questa analisi approfondita, le organizzazioni non possono fare affidamento solo sui dati del cloud provider.
Questo crea un modello di “responsabilità condivisa”, in cui, ad esempio, la soluzione di sicurezza mobile fornisce il contesto per capire se l’endpoint mobile è compromesso o connesso a una rete a rischio. Si potrebbe anche avere un Cloud Access Security Broker (CASB) che esamina il comportamento dell’utente finale o quali tipi di dati vengono gestiti.
Un approccio più olistico alla sicurezza
Con i dipendenti che accedono alle applicazioni cloud praticamente da qualsiasi dispositivo per rimanere produttivi, gli strumenti legacy basati sulla rete non possono fornire la visibilità e il controllo necessari per proteggere i dati aziendali.
Sia che si tratti di un’architettura on-premise, sia che si tratti di un’architettura cloud o ibrida, la sicurezza deve essere uno sforzo combinato, in cui l’applicazione cloud lavora in parallelo con le altre soluzioni. Per ottenere il modello Zero Trust, è necessaria una raccolta di informazioni da tutte le applicazioni, gli utenti e gli endpoint, per garantire che le decisioni di accesso proteggano i dati e allo stesso tempo consentano la produttività.
Vi consiglio vivamente di dare un’occhiata al resto del podcast per una discussione più approfondita con i nostri amici di Google. Inoltre, date un’occhiata alla pagina della partnership con Google per saperne di più su come le nostre due aziende stanno collaborando su questo importante tema.
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